Installazione multimediale creata per il Museo del Pio Monte della Misericordia di Napoli
una produzione di Musicaimmagine, 2011
Testo e musica di Flavio Colusso
Fotografie e Video di Sergio Siano
Silvia De Palma voce recitante
ENSEMBLE SEICENTONOVECENTO
CAPPELLA MUSICALE THEATINA
CAPPELLA MUSICALE DI SAN GIACOMO
CORO DEL CONVENTO DI SAN GREGORIO ARMENO
Flavio Colusso, direttore
Le “Opere di Misericordia” di Flavio Colusso
Claudio Strinati
Flavio Colusso ha onorato in questo “esercizio spirituale concertato” tutte e tre le sue competenze di musicista. Egli, infatti, è cantante dalla voce nobile e suadente. È direttore d’orchestra filologicamente agguerrito e intensamente partecipe di quel lavoro di scavo e riscoperta sul patrimonio antico che lo vede tra gli attuali protagonisti. È, soprattutto, compositore volto a rinverdire la solenne tradizione del maestro di cappella, autore sensibile e raffinato di opere religiose ma partecipe di quel clima di rinnovamento nel solco della memoria che lo vede immerso con piena consapevolezza nella realtà del nostro tempo, e il nome dell’Ensemble di cui è fondatore e direttore (Seicentonovecento) lo attesta pienamente.
Qui, nell’esercizio da lui composto per il Pio Monte della Misericordia di Napoli - luogo emblematico per antonomasia – in occasione della mostra “Sette Opere per la Misericordia”, porta tutta la sua sensibilissima emotività e esercita tutte le sue professioni. Vi interviene in veste di cantante, dirige. Il maestro deve aver avvertito chiaro come questa composizione abbia, nell’ambito della sua parabola, un significato notevole, tale da giustificare seriamente la rilevanza conferitagli. La tersa e incantata partitura sembra pensata proprio per introdurre il fedele e l’ascoltatore, dotto o indotto, a una autentica “comunione”, esteticamente pregnante e eticamente del tutto convincente, che per gradi successivi lo eleva verso una forma superiore di bellezza e quiete spirituale.
La composizione in effetti, è tutta pensata secondo il criterio della preghiera e dell’elevazione. Si ispira, dunque, alle Opere di Misericordia per come sono adombrate nel testo basilare di riferimento, il Vangelo di Matteo, 25. Qui le opere di misericordia sono in effetti sei e si riferiscono allo sfamare, al dissetare, all’accoglienza del pellegrino, al vestire gli ignudi, al curare i malati, al soccorrere i carcerati. E infatti la composizione è strutturata in otto numeri, cioè le sei Opere, più un coro introduttivo iniziale che chiama i fedeli e uno finale che celebra l’avvenuta ascesa verso il Regno.
Colusso ha pensato che ogni “stazione” debba far sentire questa salita costante verso l’alto, partendo dall’idea antica dell’esacordo. Così il primo numero comincia dal DO (ut), il secondo dal RE e così via, mentre il finale riparte trionfalmente in DO. Ma non si tratta di una sorta di semplice escamotage strutturale ma di un sentimento profondo che permette di tenere serrati i ranghi dell’esposizione musicale pur mantenendo una morbidezza di toni e una dolcezza di eloquio mai contraddette nel corso della pur complessa composizione. C’è qui, una idea della Fede come di pacificazione raggiunta già all’atto stesso del gradino iniziale che ci porterà all’apoteosi finale. A ben vedere tutta la composizione, dalla prima all’ultima nota, è una confidente conquista di una solida certezza di comunione degli spiriti, che trova la sua congruente forma in una maestosa solidità accordale e in una delicatissima trama contrappuntistica che contempera costantemente lo sgomento di chi si trova di fronte a qualcosa che lo sovrasta con la certezza di quel sentimento di protezione e conforto che la musica, meglio di tante altre forme espressive, può dare anche a chi non sia conoscitore delle cose d’arte. Il finale è orientato proprio in questo senso quando il maestro prescrive che il coro si allarghi a tutti coloro che assistono non distinguendosi più esecutori da ascoltatori. È un ideale estetico che il compositore persegue anche in altri suoi lavori, là dove preme fortemente sul fronte della comunicazione diretta e spontanea, concretizzatasi in partiture di cristallino nitore e di purezza esemplare. Tipico in tal senso è il n. 3 della partitura, che funge quasi da osservatorio da cui può essere scrutata l’intera composizione, gravitante sulla amata tonalità di RE minore che Colusso considera carica di senso simbolico. Il finale è una vera sintesi e si coglie il senso profondo di una scrittura costantemente tesa alla ricerca di una sintesi superiore in cui l’antichissima idea del suono delle sfere ritorna da una memoria ancestrale e pone il maestro al centro di un dibattito sul destino della musica che ha visto anche altri compositori illustri avviarsi, da ogni parte del mondo, su una strada non priva di affinità con la sua poetica. È quel sottile crinale in cui l’idea di un mondo antico inattingibile e il sogno di un mondo ulteriore non afflitto dall’esigenza né della modernità né della conservazione, si incontrano magicamente lungo una specie di scala di Giacobbe che ci porta verso le consolazioni angeliche.
Questo lavoro, così austeramente semplice e sobrio, è un felice raggiungimento di un autore che prosegue coerentemente un suo cammino di spiritualità e di pienezza.